mercoledì 21 aprile 2010

IL GHIOZZO TESTONE


IL GHIOZZO TESTONE DUNQUE, INCHINIAMOCI DINNANZI AL MITO
Ed eccoci all'apoteosi, al culmine, all'apocalisse. Là dove i soldi e la ricchezza non valgono niente. Che puoi anche essere il miglior trader di Wall Street, e sei andato short e poi long, e poi hai comprato delle call e te le sei rivendute quando sono andate alle stelle, e allora hai comperato delle put, e te le sei vendute quando il titolo l'hanno fermato per eccesso di ribasso, e hai chiuso con un attivo di cinquantamila dollari e te ne sei andato a mangiare con una bella ucraina da mille dollari nel migliore ristorante di Manhattan. E cosa ci hai trovato? Caviale Beluga? Magari lo fanno anche in Cina. Aragoste? Fois gras? Tartufi bianchi d'Alba? E chi ti credi di essere? Questa cosa qui non potrai mangiarla. Mai. Perchè per mangiare questo piatto devi spogliarti di tutto, e i tuoi soldi non servono a niente. Devi prendere la cannetta, innestare una gritta, andare tra gli scoglietti e sperare che il ghigione ci dia. Per non parlare poi delle zingarelle, che hanno un bocchino così fine che prenderle è ancora più difficile. E il foulo? Non lo vedrai mai, abituato come sei a stare davanti ad un monitor per anni interi. E allora? E allora il ricordo va riverente alla buonanima di mio padre, e lo rivedo come fosse ora, in quel piccolo meraviglioso ecosistema che erano le piscine di Sant'Anna, in Sestri Levante, inmerdate ora di colate di cemento dall'imbecillità dei nostri amministratori. Me lo ricordo lì, con la cannetta di canna d'India, là dove da ragazzo aveva salvato la vita al ciclista Bobèt, con quella sensibilità senza pari, per cui sapeva riconoscere dal tocco ogni tipo di pesce. E diceva piano: "ghigiùn" e aspettava. Poi vedevi il tremito della punta, ed il suo braccio sicuro alzava lentamente lo strumento, ed ecco che dall'acqua appariva trillante la forma di siluro del ghiozzo testone. E poi ancora: "ziguela", "ricoe", "lagiun", "bousa", "sant'Andrea", ed altri ancora. E quella sera si mangiava, povera gente, che la cena non ci era costata niente, il tutto fritto, con le patate ed i gamberetti che con mio cugino Giovannino tiravamo su, dai salaietti che mio padre e lo zio Luigi ci avevano costruito giorni prima. Mio padre era del venticinque. Nel quarantuno, a sedici anni, era stato arruolato come inserviente in una corvetta tedesca di stanza a Sestri Levante. Come tutte le persone oneste era andato a fare il suo dovere, a difendere la patria. Una sera del quarantaquattro, mentre tornava a casa in pieno coprifuoco, fu arrestato dai fascisti e condotto nelle carceri di Chiavari. A nulla valevano le sue proteste e le sue ragioni, che era imbarcato su di una corvetta tedesca e che stava tornando a casa. Fu accusato di spionaggio, o tradimento, o chissà che cosa e fu messo in lista per la deportazione, destinazione Mauthausen. Il comandante della corvetta, avvisato con disperazione dalla buonanima di mia nonna di ciò che stava accadendo non indugiò un secondo. Prese con sè due tiratori scelti delle SS arrivati da Berlino per contrastare i caccia nemici, altri marinai armati di machingever ed irruppe nella prigione di Chiavari in piena notte. "Liberare subito prigioniero italiano Mario!!!!!!! Liberare subito!!!!!!" Puntarono le armi alla testa dei secondini ed in pochi minuti scappavano via con mio padre alla volta della corvetta. Parecchio tempo dopo, quasi alla fine della guerra, mentre la corvetta era in ricognizione di notte al largo di Rapallo otto fasci luminosi la illuminarono a giorno all'improvviso. Un cacciatorpediniere inglese l'aveva localizzata e seguita e si trovava a poche decine di metri. Si udì una voce da un altoparlante, prima in tedesco e poi in italiano. "Abbandonare immediatamente la nave, tra cinque minuti sarete silurati, attenzione!!! Abbandonare la nave." La nave fu abbandonata e subito dopo saltò in aria. Devo il fatto di esistere a tutte queste persone sconosciute. Il comandante della corvetta, che salvò mio padre dalla deportazione, il comandante del cacciatorpediniere, che avrebbe potuto tranquillamente silurare che non gliene poteva fregar di meno, ed invece si mise una mano sulla coscienza. Anche in guerra esistono le persone buone, che non uccidono solo per il gusto di uccidere, anche in quella terribile guerra. Forse un giorno, di là, quando conoscerò tutto, potrò conoscere anche loro ed abbracciarli. Come ringraziamento per aver fatto il suo dovere e difeso il suo paese mio padre fu accusato di tradimento e collaborazionismo, condannato a morte dai "civili ed umani" partigiani e passò una quarantina di giorni nascosto in una cisterna abbandonata prima che la guerra finisse e si portasse via questo dramma immane. Che ironia. Devo la mia esistenza a tedeschi ed inglesi ed ho rischiato di non esistere grazie ai miei solerti concittadini!






 





 





 

martedì 13 aprile 2010

PICI ALLA SAN GEMINIANO



Ingredienti: pici, 80 g. a testa, luganega, carne trita, fegatini di pollo, aglio, cipolla, sedano, carota, alloro, vino bianco, conserva di pomodoro, parmigiano, sale e pepe.


Esecuzione: passare e dorare in casseruola di terracotta le verdure a brunoise escluso l'alloro, con olio a fuoco vivo. Immettere la luganega a tocchetti, la carne trita ed i fegatini tritati a mezzaluna in parti eguali. Girare di abbondante vino bianco in cui sia stato sciolto un bel cucchiaio di conserva di pomodoro. Incoperchiare e lasciar andare lentamente sino a che il sugo non abbia ottenuto un bel colore brunito, aggiungendo poca acqua calda nel caso risultasse troppo asciutto. Regolare di sale e pepe. Condirci i pici e servire alla russa in ampia cocotta di terracotta, spolverizzando di parmigiano e regolando ulteriormente di pepe nero di mulinello.


Vino consigliato: Centine di "Banfi".

lunedì 5 aprile 2010


SUA MAESTA' LA FRITTATA


Non me ne vogliano gli amici chef, scatenati nelle creazioni più ardite e fantasmagoriche e nelle alchimie culinarie più esasperate.

Arriva la primavera e con essa le erbe selvatiche ed i germogli più saporiti.

Le galline inoltre, alle quali tutti noi dovremmo innalzare un monumento, sono prodighe di uova, un elemnto per noi fondamentale. Scateniamoci dunque.

In quell'elemento primario che ha sfamato centinaia di enerazioni e ne ha evoluto il gusto sino ad arrivare ai giorni nostri.

La frittata dunque: uova, pane, latte, olio, formaggio, cipollotti, ed erbaggi. Erbaggi di campo novelli, cicoria selvatica, dente di leone, talegua, ortica, asparago, borragini, bietoline e quant'altro.

Il tutto a formare quella deliziosa crosticina et voilà, il colpo di grazia a girare veloci con il coperchio.

Bevendoci sopra un delizioso bianco di Montegrosso.




venerdì 2 aprile 2010


PICI ALLA SAN GEMINIANO

Ingredienti: pici, 80 g. a testa, luganega, carne trita, fegatini di pollo, aglio, cipolla, sedano, carota, alloro, vino bianco, conserva di pomodoro, parmigiano, sale e pepe.

Esecuzione: passare e dorare in casseruola di terracotta le verdure a brunoise escluso l'alloro, con olio a fuoco vivo. Immettere la luganega a tocchetti, la carne trita ed i fegatini tritati a mezzaluna in parti eguali. Girare di abbondante vino bianco in cui sia stato sciolto un bel cucchiaio di conserva di pomodoro. Incoperchiare e lasciar andare lentamente sino a che il sugo non abbia ottenuto un bel colore brunito, aggiungendo poca acqua calda nel caso risultasse troppo asciutto. Regolare di sale e pepe. Condirci i pici e servire alla russa in ampia cocotta di terracotta, spolverizzando di parmigiano e regolando ulteriormente di pepe nero di mulinello.
Vino consigliato: Ce
ntine di "Banfi".